Etan-Kals

Storia

Ventun anni fa una dura guerra ha sconvolto le Sacre Terre del Khur, profanate dagli invasori. Gli eserciti dei Draghi occupato la città di Floatsam e per un breve periodo anche Port Balifor è stato sotto il controllo delle armate della Regina delle Tenebre. Solo a prezzo di numerose vite e fiumi di sangue, le tribù barbare hanno scacciato gli invasori, riprendendo possesso di quei territori.
In quei giorni oscuri molte sono le vite che si sono spente, poche quelle venute alla luce.
Gli scenari sanguinosi non sono limitati ai momenti di battaglia. Durante le rare tregue infatti non sono mancate scene di terribili sevizie nei confronti dei prigionieri. Uomini torturati per ottenere informazioni, o per il puro piacere di vedere i loro volti contorti dal dolore. Donne mutilate, perché non opponessero resistenza, e poi violentate..
Questi sono gli scenari che si scorgono comunemente tra gli accampamenti delle due fazioni.

Lysel-Plan è stata una delle ultime donne catturate, durante un raid degli eserciti draconici, prima che i Leoni scacciassero definitivamente i nemici.
Una donna coraggiosa, anche se non una guerriera molto abile. Ha impugnato le armi solo per difendere la propria famiglia e i due figli che condivide con il compagno, Helmar-Kals, abile arciere.
Lysel è stata una delle poche fortunate che ha fatto ritorno a Balifor, dopo la prigionia, con ancora tutte le parti del corpo ancora attaccate. Ma anche a lei non sono mancati istanti di atroce sofferenza. Molti uomini hanno sfogato sul suo corpo la loro libidine. E la sua mente è stata sottoposta a torture psicologiche ancora peggiori.
Quando gli eserciti della Regina sono stati scacciati Lysel ha fatto ritorno dalla sua famiglia, che l’ha riabbracciata con calore, marito per primo.
Esattamente nove mesi dopo un bambino ha visto per la prima volta la luce nella capanna di Helmar a Port Balifor.
La pelle del piccolo è ambrata come quella di tutti i barbari, i ciuffi di capelli scuri come quelli della madre e del padre. Solo gli occhi, solitamente chiari nei neonati, sono di un nero profondo, un nero che né Lysel, né Helmar possono vantare.
Quel bambino ero io: Etan-Kals.

Durante l’infanzia e l’adolescenza non mi è mancato nulla. I miei genitori mi hanno nutrito, curato e cresciuto come un figlio del Khur. Ho giocato e battagliato con i miei fratelli maggiori e sono stato sommerso dall’amore di mia madre.
C’è solo una nota stonata. In ventun anni non ho mai ricevuto un gesto affettuoso da mio padre, gesto, che per quanto raro, non è mai mancato ai miei fratelli.
Mi ci è voluto molto tempo per comprendere che, per quanto Helmar mi avesse riconosciuto come figlio, mai mi ha considerato tale. Solamente l’amore incondizionato per la moglie non mi aveva fatto ripudiare, data la mancanza di prove sulla reale paternità.
La mancanza di una figura di riferimento paterna, inconsciamente, ha minato le mie certezze. Non ho mai sentito un forte attaccamento alle Terre del Khur. Non ho mai avuto una figura da ammirare e da prendere come esempio, aldilà dei Khan, che per un bambino erano però solo individui “leggendari” e inarrivabili.
Crescendo ho sviluppato principalmente una grande abilità manuale. Non avendo molta forza nelle braccia, ho faticato nell’utilizzo dell’arco, pur avendo la precisione necessaria.
Le armi più pesanti poi, neanche a parlarne, spada e mazza finiscono irrimediabilmente a terra, per quanto mi sforzi di usarle con perizia.
Nell’arco di un anno, tra i quattordici e i quindici anni, da piccolo ragazzino imbranato sono diventato un giovane alto e dinoccolato, con le mani eleganti. Ma sempre un buono a nulla.
E’ stata la mamma a regalarmi una collezione di piccoli scalpelli.
In poco tempo sono stato in grado di scolpire nel legno piccoli animali. Ogni volta che ne termino uno sento un senso di completezza, di pienezza nel petto. Più è complicato il lavoro, maggiore è l’impegno che ci metto e maggiore ancora la soddisfazione quando lo termino.
Nell’arco di un anno tutti i mobili della casa, da grezzi pezzi di legno, sono diventati degli eleganti arredamenti, decorati e levigati in ogni parte.
A quanto pare avevo trovato la mia strada.
Ora che ho ventun anni sono in grado di fare piccole meraviglie col legno e coi metalli che ho appreso a lavorare.
Creo mobili e suppellettili per tutti i fratelli della tribù che ne fanno richiesta e sto apprendendo anche a lavorare scudi con i tronchi migliori e più resistenti.
Ma per quanto sia entrato a far parte attivamente della vita della tribù, non sento un vero senso di appartenenza ad essa.

Pochi mesi fa mi sono allontanato da Port Balifor, alla ricerca di foreste dove procurarmi i materiali migliori.
Mi sono accampato nei pressi del villaggio minoico di Kayolin e lì ho soggiornato per varie settimane.
Poco lontano dal mio campo nella foresta c’è una strada molto trafficata dagli umani e due grandi città sono nelle vicinanze.
Spinto dalla curiosità le ho visitate in lungo e in largo, pur cercando di farmi notare il meno possibile, e sono rimasto affascinato dalle grandi botteghe degli artigiani.
Quelli che io ritenevo alcuni dei miei lavori migliori avrebbero fatto una ben magra figura accanto alle opere che ho visto esposte. E ogni bottega che ho visitato pareva presentare lavori di qualità sempre superiore.
Abbattuto, ho fatto ritorno al mio campo nei boschi e pieno di rabbia in corpo ho afferrato un’accetta e mi sono sfogato troncando rami e alberi tutt’intorno a me.
Stremato dalla fatica e dall’intensità delle emozioni sono crollato sulle pelli del mio giaciglio.
Il mio riposo era tranquillo e senza sogni, velato da quell'oscurità confortevole che ci avvolge quando la stanchezza prende possesso delle nostre membra.
I rumori della notte ed i richiami degli animali notturni non erano in grado di superare l'impenetrabile coltre del sonno.
Lentamente la notte raggiunse il suo culmine.. quel momento in cui nemmeno le due lune riuscivano a rischiarare Ansalon e tutti i suoni e rumori si trasformavano in silenzio.
Fu in quell'istante che cambiò qualcosa nel mio sonno.
Sogni nebulosi mi si affollarono nella mente. Immagini frammentate, senza alcun filo logico che le legasse fra loro, spesso talmente confuse da non essere distinguibili.
Chiaro però era il ruggito che nel sogno le sue orecchie sembravano percepire. Un ruggito forte, deciso, limpido, fatto per incutere paura nei nemici e sicurezza nei compagni. La sua intensità aumentava di pari passo al proseguire del sogno.
Ebbe il suo culmine con l'ultima visione.
Lo scranno del Leone del Khur, il Khuri-Khan, occupato da un'imponente figura in ombra, che indossava la grande pelle di Leone, di cui non fu in grado di distinguere il volto. Nelle sue mani però potevo vedere splendere un’arma magnifica.
A quel punto mi svegliai dal sonno, con ancora quel ruggito a risuonarmi nelle orecchie e le vaghe immagini davanti agli occhi.
In un sol movimento gettai via le pelli che mi coprivano e mi alzai dal giaciglio. Solo pochi istanti mi occorsero per indossare un paio qualunque di braghe da lavoro e raggiungere la forgia più vicina.
Spinto da una necessità che si originava in un qualche dove nel profondo del mio animo spalancai il baule contenente i metalli pregiati e relativi reagenti per lavorarli; apertolo lo affiancai alla forgia e, afferrato il miglior martello di cui disponessi, iniziai a lavorare alacremente.
I lingotti erano fusi, deformati e plasmati.
L'alba mi sorprese ancora accanto all'incudine.. e accanto ad essa rimasi per l'intera giornata e la notte seguente.
La mente, il corpo e lo spirito dell'artigiano rimasero fisse su quell'unico progetto.
Gli occhi mi dolevano e lacrimavano per la veglia ed il calore della forgia, ma mai accennarono a chiudersi per un istante di riposo.
Le prime luci dell'alba successiva stavano oramai rischiarando il cielo sulla baia di Kayolin quando finalmente posai il martello ammaccato e smosse i carboni ardenti che alimentavano la forgia, così da farli spegnere più velocemente.
Il frutto di quei due giorni di lavoro era rinchiuso nel mio baule più sicuro, avvolto nei migliori panni di cui disponessi.
Finalmente, sopraffatto dalla stanchezza, potei raggiungere il letto, dove crollai esausto, questa volta in un sonno veramente senza sogni.
Avevo terminato il mio dono per il Khuri-Khan. Ero pronto per tornare a casa.

Descrizione

Un ragazzo ancora giovane, ma dal volto senza età, segnato dalle esperienze e dal duro lavoro. I capelli schiariti dal sole sono incurantemente lunghi e spettinati.
Gli occhi profondamente neri.

Particolarità

Adora essere lusingato quando si tratta del suo lavoro. Due paroline gentili, un paio di complimenti ed evrete quasi uno schiavo tutto-fare al vostro servizio, anche se fingerà di lamentarsi.
Adora borbottare mentre lavora. Lo ritiene un valido modo per concentrarsi di più.

Dicono di Lui/Lei

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